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Parking management

Nel secondo dopoguerra, con la motorizzazione di massa, sono state adottate una serie di norme e di interventi infrastrutturali per garantire a tutti una lingua d’asfalto su cui posizionare il proprio mezzo. Questo ha portato nell’immaginario collettivo alla creazione di una falsa convinzione: esiste un “diritto” alla sosta gratuita su uno spazio che – per definizione – è di tutti. Si tratta di un grande equivoco che ha interessato anche l’Italia, dove in qualunque città si vedono automobili fare manovra sui marciapiedi per parcheggiare in spazi a dir poco improbabili.

Per ridurre l’uso dell’auto privata, una soluzione caldeggiata dagli esperti, è quella di eliminare e far pagare i parcheggi e rendere, gradualmente, le città più adatte a chi sceglie di spostarsi in bici o a piedi. Una doppia formula che in Italia, il Paese più motorizzato d’Europa (dopo il Lussemburgo) in cui non esiste una solida cultura della mobilità attiva, sembra quasi folle, ma che in realtà funziona.

Chiaramente bisogna lavorare su più livelli, senza mai dimenticare l’importanza del trasporto pubblico e delle infrastrutture ciclabili, ma intervenire sulla sosta è molto più efficace di quanto si pensi. Non si tratta di una lotta ideologica contro i mezzi a motore, ma di un processo che punta a riequilibrare i rapporti di forza nello spazio pubblico. Uno spazio pubblico che, stando ai dati dell’Unione europea, vede le automobili parcheggiate per il novantadue per cento della giornata. E, quando “camminano”, il sessanta per cento delle distanze percorse è inferiore ai cinque chilometri.

In tutto il mondo, diverse amministrazioni urbane si stanno rendendo conto che il suolo occupato da mezzi (quasi) perennemente fermi è in parte sprecato. Potrebbe essere utilizzato per avere marciapiedi più larghi, aree verde più estese, piste e corsie ciclabili, panchine, rastrelliere.

È uno scambio: mi togli qualcosa ma ti restituisco, nel tempo, un posto migliore dove vivere. Tuttavia, per apprezzarne il valore servono fiducia nelle istituzioni e una svolta culturale che in Italia non è ancora davvero cominciata, a differenza degli Stati del Nord Europa.